Teatro

Marco Paolini torna in Umbria con La macchina del capo

Marco Paolini torna in Umbria con La macchina del capo

Dopo Itis Galileo a Terni Marco Paolini si sposta venerdì 25 febbraio, alle 21, al Teatro Politeama Clarici di Foligno per presentare un altro suo emozionante spettacolo, La macchina del capo.
È un lavoro sull’infanzia e sulla primissima adolescenza, tra la famiglia, la colonia e le avventure nel campetto di pallone.

È un viaggio che parte dalla casa, micro-universo dal quale osservare il mondo, per avanzare alla scoperta del macro-mondo (del mare, dei compagni di giochi, del sesso visto con gli occhi di un bambino).
È il ritratto di un’Italia di periferia, vista su scala ridotta, tra la Pedemontana e il mare.
È un lavoro sul desiderio e sulla scoperta, vicino alle atmosfere di Monicelli. I ragazzi protagonisti del racconto sono quasi gli “Amici miei”, ma ragazzini. E le zingarate sono forse più innocenti, ma lo spettacolo si permette di giocarci con altrettanta ironia.

“Per questo spettacolo – dice Paolini- ho preso le storie più vecchie che ho raccontato, le ho prese dai primi Album, quelli su cui ho imparato questo mestiere che viene dal teatro. In quei lavori ho imparato a dosare i personaggi e a mescolarli con il filo della storia, a interpretare e narrare insieme. Ho ricombinato le storie vecchie con episodi nuovi che ho cominciato a scrivere un paio d’anni fa. Si tratta di un viaggio in Italia, dalla montagna alla pianura fino alla scoperta di Roma. Un viaggio al confine di un mondo: Nicola si chiede cosa farà da grande, sogna, fa progetti, indeciso se fare il ferroviere come il suo papà o il parcheggiatore di autoscontri. E poi affronta i piccoli traumi della crescita come il rapporto con la scuola. Racconto di un’ infanzia non protetta da cordoni sanitari di adulti, di campetti di periferia, di viaggi in treno e di vacanze avventurose. Narro di un bambino di 10 anni e della sua fretta di crescere.

Non racconto per nostalgia, ma per divertimento, racconto per chi c’era già e riconosce i dettagli ma anche per chi è nato dopo e si diverte alla storia. Negli Album mostro lo stupore della scoperta del mondo, che poi si evolve nel racconto del disincanto, ma non c‘è nessun sentimento nostalgico e nessun messaggio generazionale. Nicola alla fine andrà a sbattere contro la realtà di questo Paese ma in questo racconto quello che cerco di fare è recuperare lo sguardo del bambino.

Questo racconto è pensato per tutti, a diversi livelli di fruizione. Nel percorso di crescita di questo bambino, tra banchi di scuola, campetti di calcio e ferrovie, si possono riconoscere sia i miei coetanei che quelli più grandi di me, ma si riconoscono anche i bambini di oggi. Io non ho figli ma ho aggiunto nuove parti rubando molto ai racconti dei miei nipotini di 7 e 9 anni. Uso l’ironia per immedesimarmi nello sguardo di un bambino, ma lo faccio senza caricature. Cerco di far immaginare le cose e sul palcoscenico non indosso i pantaloncini corti, ma divento un bambino di 10 anni raccontando qualcosa che è vitale anche per me oggi.
E Lorenzo Monguzzi (dei Mercanti di Liquore) mi accompagna in questo esercizio; con lui abbiamo creato canzoni senza tempo, ispirate alle filastrocche di Rodari o alle melodie composte da Carpi per il Pinocchio di Comencini.

La macchina del capo è una macchina speciale, rosa, quella di un capo per l’appunto, protagonista di una delle nuove storie che ho scritto per questo spettacolo, ma è anche il titolo della filastrocca, che tutti, anche i miei nipotini, conoscono e che per tutti si colloca in un preciso momento della crescita, che qui racconto.”